“L’azienda è radicata e conosciuta nel territorio e molti vorrebbero lavorare qui, questo ci consente di intercettare i talenti migliori.”

“Mentre il primo anno c’è voluto un po’ di tempo per capire il funzionamento e l’utilizzo  della piattaforma per i flexible benefit, nel primo mese del 2018 tutti i dipendenti avevano  già deciso come usare il credito a loro disposizione.”

“Il buon clima lavorativo è necessario perché il valore aggiunto è dato proprio dai dipendenti. Il welfare ha avuto un impatto molto positivo sul clima, sulla fidelizzazione ma anche sulla produttività. Il volume d’affari è aumentato.”  

“Le mie dipendenti dicono che in nessun altro posto le donne sono trattate con così tanto rispetto per la maternità.”  

Quelle che avete appena letto sono le dichiarazioni di Presidenti di C.d.A., Amministratori e Titolari di aziende che, rompendo gli indugi, hanno colto l’opportunità offerta dalle nuove norme e saputo interpretare le esigenze dei loro dipendenti, sposandole con un miglioramento delle performance aziendali. Si tratta di imprese che dopo averne sperimentato i risultati si sentono incoraggiate a incrementare ulteriormente le iniziative e gli investimenti.

Ma di cosa stanno parlando?!?!

Si riferiscono ad interventi sulle seguenti aree: servizi di assistenza, conciliazione vita e lavoro (cioè semplici misure di flessibilità), sostegno ai genitori, formazione per i dipendenti, cultura e tempo libero, sanità integrativa, polizze assicurative, previdenza complementare, sostegno economico ai dipendenti, sostegno all’istruzione di figli e familiari e chi più ne ha più ne metta!

In una sola parola di WELFARE AZIENDALE!

Ma se il welfare, migliora il clima aziendale, fidelizza i dipendenti, migliora l’immagine aziendale ed aiuta a crescere le aziende perché in Italia il fenomeno è ancora molto limitato?

Alcuni studi recenti hanno evidenziato la seguente criticità: la conoscenza è la condizione necessaria per innescare il circolo virtuoso del welfare aziendale, ma le informazioni che le imprese ricevono resta ancora molto limitata. Ciò significa che una quota ancora consistente delle PMI resta esclusa dalle opportunità del welfare aziendale per carenza di informazioni (norme, incentivi, strumenti), di competenze e di supporti.

Non possiamo dimenticare che le piccole e medie imprese sono la struttura portante del nostro sistema produttivo, e senza di esse non è possibile raggiungere la maggior parte dei lavoratori e delle famiglie.

Tale dato rischia ancor più di ampliare il gap esistente con i grandi gruppi nei quali si è aperta una nuova fase di relazioni industriali che ha messo il welfare aziendale al centro dei rapporti di lavoro, e un ruolo importante è stato assunto dai contratti aziendali e territoriali.

Cosa fare per accelerare questo trend di crescita così lento?

Da un lato diventa fondamentale il ruolo del consulente del lavoro che ha l’obbligo di consigliare le aziende e favorire percorsi di welfare, non limitandosi a spiegare gli obblighi che derivano dall’applicazione del CCNL (molti rinnovi hanno già inserito delle misure di flexible benefit). Ad esempio la formazione dei dipendenti è un’area prioritaria sulla quale le imprese possono investire.

Dall’altro è necessario che i soggetti più attivi, che crescono molto più velocemente della media, trascinino gli imprenditori più “pigri” o non adeguatamente supportati. A tal fine i seguenti elementi:

  • la proattività delle imprese, cioè la loro capacità di intraprendere iniziative di welfare proprie, non limitandosi ad applicare le misure previste dal contratto collettivo;
  • il coinvolgimento dei lavoratori, tanto nell’analisi dei bisogni quanto nell’attuazione e nella comunicazione delle iniziative di welfare;
  • il dinamismo, inteso come capacità di intraprendere di anno in anno nuove iniziative di welfare o potenziare quelle già esistenti;
  • il riconoscimento e il gradimento delle iniziative di welfare aziendale da parte dei lavoratori;
  • l’impatto del welfare aziendale sui risultati dell’impresa

diventano essenziali per superare questa inziale fase di start up ed ampliare il novero dei fruitori dei servizi di welfare.

Il welfare non è imponibile ai fini contributivi, non lo è a fini Irpef ed è comunque deducibile dal reddito d’impresa, come costo del personale, anche fino al 100%.             

Facciamo due conti (amministratori)

Facciamo due conti ( dipendenti)

Lo Studio è uno dei soggetti che crede nello strumento ed infatti mette a disposizione dei propri dipendenti già da tempo i servizi di  welfare, pertanto conosce bene le modalità che ne regolano il suo utilizzo.

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Articolo a cura del  Consulente del lavoro Andrea D’Alessio